Posts contrassegnato dai tag ‘organizzazione’

Non so cosa dia più fastidio… una verità distorta presentata in maniera soggettiva, oppure una verità censurata che nasconde abituali comportamenti omertosi!!!
Rappresentare la verità d’altronde è qualcosa di difficile, la maggior parte fa in modo che questa non venga mai espressa in modo chiaro, anche perché sono in pochi ad aver coraggio su quest’isola a dire – ad alta voce – le cose come stanno, senza mai tergiversare, ma andando dritti al punto!!!
Eccoli quindi… da un lato i fessi, coloro che vivono quella loro esistenza in maniera futile, senza preoccuparsi di quanto avviene intorno a loro, potremmo inquadrare questi soggetti con quel detto: “meno so e meglio sto“… di contro, quei loro colleghi, che potremmo definire “marpioni“!!!
Già… stanno quotidianamente a carpire quanto accade intorno ad essi, sono lì ad ascoltare anche il più insignificante bisbiglio pur sapendo che quanto si sta dicendo non riguarda la loro persona…
Loro sono così… “guardinghi”, si guardano le spalle e cercano d’individuare ogni piccolo segreto su quanto accade all’interno del loro ufficio, ma non solo, eventuali comportamenti ai limiti della legalità, vengono accantonati e custoditi, per potere far leva, un domani, su qualche loro collega o superiore…  
E’ un gioco d’astuzia, proteggono chi interessa loro per vedersi restituire al momento opportuno il favore, si augurano così facendo d’entrare nelle grazie dei propri superiori (uomini già influenti all’interno dell’organizzazione…), affinché pian piano possano anch’essi salire di livello, peraltro hanno scoperto come attraverso l’applicazione di talune metodologie richieste, si possano iniziare a ricevere grandi vantaggi personali e/o familiari…
Ecco quindi cosa spinge a fare il salto… la bramosia di potere, di salire sempre più in alto nella classe sociale, si prova così ad entrare in un giro molto più grande di loro ed eccoli finalmente genuflessi, lì messi a disposizione del “sistema“, diventando ogni giorno che passa un tutt’uno con esso e con quanti ne fanno parte e loro da poco ammessi, provano a dimostrare con le proprie azioni di non essere meno!!!
Sanno bene che quanto stanno per compiere si chiama “reato”, ma d’altro canto… va bene così, in loro vi è particolare predisposizione a compiere quelle riprovevoli azioni di malaffare e corruzione…
Essi con il tempo godono per quanto compiuto, si sentono peraltro “invincibili” ma soprattutto “intoccabili“, poiché protetti da quel loro sistema clientelare che sa quando intaccato, chiudersi perfettamente a “riccio”, a protezione di quei suoi affiliati… 
Ovviamente quando scoperti… gridano alla falsità, parlano di menzogne e secondo loro quanto si sta compiendo è volutamente realizzato da chi vuole screditarli, affinché possa apparire meschini, sia come persone che professionalmente… 
Ecco quindi che pur di scagionarsi iniziano a raccontare bugie… giungendo a incolpare altri di quelle loro malefatte, ma le bugie si sa… “hanno le gambe corte” e ciascuno di essi alla fine si dimostra per ciò che è sempre stato: Un vero e proprio delinquente!!!

20 maggio 1999 sono le 8,20.

E’ primavera e il sole si è alzato da poco.
Un vento caldo proviene dal mare… quasi scirocco.
Sibila dentro i vicoli, rimbalza sulle finestre dei palazzi signorili, sui vetri degli uffici ancora vuoti,si infila attraverso il vetro abbassato di un furgone Nissan e va a colpire proprio gli occhi di due giovani seduti accanto al lunotto posteriore. 
Sono lì da diversi minuti,appostati e pronti ad agire.
Sul vetro hanno applicato da giorni una sottile pellicola bianca e attraverso i graffi sulla vernice a gesso possono vedere tutta la strada, controllare il movimento dei passanti. 
Quello seduto davanti,al posto di guida, carica i proiettili della sua P 38. 
Nessuno può vederli e riconoscerli, nella loro posizione di tiro…
Via Salaria è caotica come ogni giorno. 
In città,le macchine che provengono dal raccordo anulare si imbottigliano in un budello stretto,con semafori lunghi un minuto, fa già caldo e lo scarico dei motori rende l’aria irrespirabile. 
C’è un traffico disordinato,guidato solo dalla pazienza degli automobilisti. 
All’angolo con via Adda,la Salaria si stringe di molto. 
La grande via consolare si trasforma così in una strada stretta, anonima, a senso unico. 
Da un punto all’altro saranno una decina di metri…
Sul lato sinistro, un cartellone pubblicitario rende il marciapiede poco più di un francobollo di asfalto, pochi centimetri, prima dell’insegna, si scorgono un palo di ferro e una macchinetta per pagare il ticket del parcheggio, mentre sul lato destro i negozi non sono ancora aperti ma nei bar già si servono da due ore caffè e cornetti. 
La gente cammina decisa verso il ministero del Tesoro e del Bilancio, gli studi di rappresentanza,ambasciate e consolati, mentre altri aspettano alla fermata dell’autobus. 
All’altezza del cartellone sono posteggiati due furgoni, sono posti uno di fronte all’altro.
Il “Vanette Nissan” è davanti al muro di cinta di Villa Albani, mentre il “Ducato” accanto ad una profumeria.
Alle 8,23, il professor Massimo D’Antona, 51 anni, esce dalla sua abitazione al quinto piano di un elegante palazzo di via Salaria. Da un bacio alla moglie Olga, saluta la figlia Valentina, scende le scale, chiude il portone e si dirige a piedi verso lo studio di via Bergamo,dove ogni giorno lavora e realizza le consulenze per il ministero del Lavoro. 
Si lascia dietro via Po, rimedia il marciapiede di sinistra e cammina lungo via Salaria in direzione di Piazza Fiume. E’ davanti al negozio di telefonia, poi attraversa l’incrocio con via Basento, oltrepassa via Adda di dieci metri ed entra in quei pochi centimetri che separano Villa Albani dal cartellone pubblicitario.
Dalla sua casa sono 128 passi,non uno di più. D’Antona cammina a passo normale,con la sua borsa in pelle marrone scuro sulla mano destra.
Le 8,30.Quando D’Antona sparisce dalla visuale del furgone, il portellone centrale del Vanette Nissan targato Varese si spalanca, escono due giovani,avranno 25-30 anni, diranno più tardi alcuni testimoni. 
Uno di loro indossa giacche chiare tipo k-way e capellini da baseball, sorprendono alle spalle Massimo D’Antona. 
Il killer impugna una pistola calibro 38, si assicura la copertura e spara senza silenziatore. 
Uno, due colpi, che sembrano petardi… D’Antona cerca un disperato tentativo di difesa.
Si copre il torace con le braccia e con la borsa. Tre, quattro,in rapida successione… D’Antona perde l’equilibrio. Cinque, sei. L’assassino scarica tutto quello che contiene il tamburo della 38. 
Spara anche quando D’Antona è a terra e lo raggiunge alla schiena, alle braccia, nella zona lombare, l’ultimo proiettile è al cuore. 
D’Antona si accascia in terra scivolando lentamente lungo il muro di cinta di villa Albani. 
L’agguato dura sessanta secondi. Un minuto per uccidere il consulente del ministro del Lavoro Antonio Bassolino. Un agguato,un omicidio politico nel centro di Roma. 
Solo allora il killer ripone il revolver nei pantaloni ed insieme al complice che porta un giubbotto di jeans e una maglia rosa, si dirige verso via Adda. 
Veloci come razzi salgono in sella di un motorino,uno di quelli di piccola cilindrata parcheggiato poco prima ,schizzano via e si dileguano nel traffico. Il professore chiede aiuto con una voce flebile, che solo una giovane che gli passa accanto riesce ad udire. 
Sono le sue ultime parole,incomprensibili,quelle di tutta una vita. Alle 8,35 arriva un’ambulanza chiamata da un uomo con il cellulare. Le condizioni del professore sono disperate.Viene trasportato al Policlinico Umberto Primo. Per quaranta minuti i medici tentano di rianimarlo ma Massimo D’Antona muore alle 9,30.
Degli ultimi istanti di vita di D’Antona rimangono la sua sagoma disegnata da un poliziotto con un gessetto bianco sull’asfalto grigio e una borsa lì accanto, semichiusa. 
Un cronista che giunge sul luogo dell’omicidio ha in genere scarse possibilità di movimento. Non è questione di contatti con gli inquirenti. E’ che tutto intorno gli si chiude a riccio ed è difficile conoscere subito alcuni particolari fondamentali per un’indagine.
Diceva anni fa un grande poliziotto della squadra narcotici di Milano:â€Se fai passare ventiquattro ore dall’omicidio e ancora non hai compreso la dinamica, l’inchiesta può proseguire per mesiâ€.
Ma in via Salaria arrivano gli uomini della polizia scientifica coordinati dal dirigente Alfonso D’Alfonso.
Gente preparata,con un passato da segugi dell’antiterrorismo!!!
Il luogo dove D’Antona trova la morte è delimitato da strisce rosse e bianche. I primi poliziotti posizionano piccoli cartelli bianchi con i numeri in nero accanto ai bossoli.1,2,3,4,5,6. Annotano quello che vedono e sentono sopra pagine di block notes che diventeranno verbali. 
Aprono sacchetti di plastica, con i guanti prelevano decine di mozziconi di sigarette che saranno poi analizzati in laboratorio. 
Qualcuno estrae da una borsa la videocamera e inizia a girare. In quei momenti un giornalista può solo capire,comprendere e osservare. I primi indizi sono confusi, forse non serviranno neppure allo sviluppo delle indagini ma rappresentano le indicazioni prese a caldo. Perché le prime dichiarazioni di un testimone di un omicidio rappresentano soltanto un punto di vista,una prospettiva limitata alla posizione in cui si trova rispetto al luogo in cui cade la vittima. La visuale è ostacolata da vetture,insegne,persone,cose in movimento.
Dal basso l’occhio vede soltanto alcuni particolari. Meglio piazzarsi in alto. Dal quinto piano di un palazzo di via Salaria la scena del delitto D’Antona è molto più chiara. E’ la somma di tutte le angolazioni possibili. Niente c’è tra l’occhio e il punto esatto in cui è riverso D’Antona.La vista si allarga.Si scorge il cartellone pubblicitario, il marciapiede che si stringe, la macchinetta del parcheggio,due pali di ferro. D’Antona è stato stretto nel unico segmento di asfalto dove poterlo uccidere. 
Dall’alto è possibile scorgere la via d’uscita degli aggressori, via Adda ,e la presenza ingombrante di quei due furgoni. Il Vanette Nissan piazzato vicino al muro di cinta di villa Albani ha il lunotto posteriore verniciato di bianco ed è graffiato in almeno due punti. I killer si erano piazzati da alcune ore ,sorvegliando così il cammino di D’Antona e i suoi possibili spostamenti. Avevano oscurato il lunotto per non farsi riconoscere dall’esterno e segnato la pellicola per ottenere l’esatta traiettoria tra loro e il professore. Nel Ducato parcheggiato davanti ad una profumeria c’è un bloster ai pedali di guida e all’interno si scorgono alcuni attrezzi per la pittura, fusti di vernice,barattoli di colla, una scala. Accanto alla borsa di D’Antona i poliziotti trovano subito le tre ogive dei proiettili. Basta una chiamata in centrale e si scopre che i furgoni risultano rubati: il Nissan sottratto nella zona di Porta Portese il 29 aprile,il Ducato sparito l’8 maggio a Montespaccato, alle porte di Roma. Il commando lascia sui furgoni le targhe vere,un indizio utile a chi indaga. Il gruppo che ha agito in via Salaria ha commesso il primo errore di carattere organizzativo, indicativo di un apparato logistico non ancora perfezionato.
Solo dopo aver visto la scena dall’alto e compresi i meccanismi dell’ omicidio si possono ascoltare i testimoni.â€Ho sentito dei colpi sordi –dice un signore -sembrava come l’esplosione di petardi. Poi ho visto un uomo allontanarsi in direzione di via Addaâ€. Una donna che ha il negozio a pochi metri dal luogo del delitto prosegue il racconto.â€Sono arrivata verso le 8,30 in auto con mio figlio. Mentre stavamo parcheggiando,abbiamo sentito dei colpi sordi. Così, abbiamo visto un uomo che sparava proprio dietro al cartellone pubblicitario.Poco dopo l’uomo ha infilato la pistola dietro al giubbotto e si è allontanato a piedi verso via Addaâ€. Le prime intuizioni di chi ha scelto un’altra prospettiva,vengono dunque confermate. I killer di D’Antona hanno utilizzato una calibro 38 (“i colpi sordiâ€) e hanno rimediato l’unica possibile fuga:via Adda,una piccola strada a senso unico orientata verso la periferia. Il docente viene colpito prima alle spalle, si gira e solo allora uno degli aggressori gli spara: il secondo uomo del commando é di copertura,armato,pronto ad intervenire se la P 38 si fosse inceppata. L’assassino spara sei colpi e quasi certamente non è un professionista: si nota subito una strana imprecisione nel colpire la vittima.â€Perché sei colpi?- si lascia scappare subito un investigatore. Il killer sceglie un revolver che non lascia bossoli, evita accuratamente un arma semiautomatica come nello stile dei terroristi negli anni settanta.

La donna non ricorda le caratteristiche dello sparatore ma qualche particolare lo offre.â€Ero troppo spaventata. Ricordo solo che aveva un berretto in testa e credo fosse vestito di chiaroâ€. Il figlio aggiunge altri indizi. Dice di aver visto il killer salire su un motorino,con un complice che lo attendeva in via Adda. â€Avevo appena parcheggiato l’auto quando ho sentito dei colpi sordi,molto più silenziosi dei petardi che si sparano a Capodanno. D’istinto mi sono voltato verso il punto da cui provenivano gli spari e ho visto due persone a pochissima distanza dall’avvocato. D’Antona si è accasciato lentamente,scivolando lungo il muro.Chiedeva aiuto con voce flebile. Dopo averlo ucciso i due si sono girati e incamminati con passo tranquillo ma svelto verso via Adda.Avevano il volto scoperto. I due assassini erano alti circa 1,80 e di un’età compresa tra i 25 e i 30 anni,con visi normali.Erano vestiti in modo simile.Uno aveva un capellino da baseball e una giacca tipo k-way di colore chiaro;l’altro portava un giubbotto di jeans e una maglia rosa.Uno di loro ha portato la mano all’altezza della cintura dei pantaloni,come se stesse nascondendo un’armaâ€.

La custode di un palazzo di via Adda afferma di aver visto proprio davanti al suo portone due ragazzi sui 25-30 anni salire in sella di un motorino di piccola cilindrata di color giallo e allontanarsi a velocità normale. Altri affermano che accanto ai due sparatori c’è una donna. La complice con funzioni di copertura è lontana,forse dall’altra parte della strada.Disegnano un primo identikit:gli occhi grandi e scuri,i capelli castani e lisci,tagliati corti,una piega semplice con una riga in mezzo alla fronte. Alcuni testimoni dicono che a prima vista può essere perfino scambiata per un uomo:indossa i pantaloni e porta un berretto da baseball,proprio come l’uomo che impugna la P 38. Dopo il sesto colpo,la complice,secondo le testimonianze,si gira in fretta e fugge a piedi lungo via Salaria. 
Una donna filippina che lavora come colf in un palazzo vicino,è convinta che “soltanto uno dei due furgoni utilizzati dagli attentatori, era stato parcheggiato dalla sera prima in via Salariaâ€. 
Lo dice con sicurezza: da quelle parti ci passa ogni sera. E’ il Vanette Nissan, si saprà giorni dopo; il Ducato,invece, è stato parcheggiato di notte davanti alla profumeria. 
Ecco perché i titolari del negozio, a cui il Ducato copriva la visuale non hanno segnalato nulla alle forze di polizia. La conferma di questo particolare non di poco conto viene dalle dichiarazioni del regista televisivo Luca Manfredi che proprio sul luogo del delitto D’Antona girava una fiction con Nancy Brilli.
Racconta Manfredi:â€Era l’ultimo giorno di riprese in via Salaria. Prima di chiudere il lavoro abbiamo girato una scena. Una macchina doveva entrare nella villa ma c’era un furgone chi ci ostacolava. Abbiamo poi saputo che era proprio quello utilizzato dai killer. Un attrezzista della troupe ha notato che era aperto e così lo ha spinto a mano di circa un metroâ€.Gli investigatori sono certi che oltre ai due killer, nell’area di azione dovevano esserci almeno altre 4 o 5 persone piazzate nei furgoni e lungo la via, con compiti di osservazione ed eventuale copertura. A pochi passi dal luogo dell’omicidio c’è una filiale della Banca di Roma. All’esterno una videocamera nascosta registra in continuazione tutti i movimenti di cose e persone.
La polizia sequestra i filmati degli ultimi cinque giorni. Cerca quel volto che alcuni testimoni dicono di aver visto aggirarsi all’incrocio tra via Adda e via Salaria. E’ un uomo di 45 anni,con i baffi, ben vestito:stava nella sua auto ferma ma con il motore acceso. 
E’ un basista? Uno che passava da quelle parti per caso? Il lavoro sulle registrazioni filmate risulta comunque faticoso. Le riprese dell’occhio elettronico riguardano il lato opposto al marciapiede in cui è caduto D’Antona. L’orientamento dell’obiettivo fa supporre l’impossibilità di ritrarre la scena del delitto e l’immagine del furgone parcheggiato in quel tratto di strada. Gli inquirenti confidano su quei filmati e tentano di individuare qualche movimento sospetto di persone . Viene anche analizzato il contenuto della memoria del computer portatile che D’Antona portava nella borsa marrone scura:consulenze,documenti di prossima pubblicazione. Le carte non sembrano però utili alle indagini. I reperti vengono portati nei laboratori. Si dovrà attendere l’autopsia sul corpo di Massimo D’Antona. I proiettili della calibro 38 estratti dalle ferite della vittima devono essere comparati con altre armi,per riconoscere le sottili striature che ogni revolver imprime sul piombo.Gli altri indizi sono tutti analizzati nelle stanze fumose della Procura della Repubblica di Roma,nei locali della Questura. E’ già chiaro a molti che quello di Massimo D’Antona è un omicidio politico,un atto terroristico che intende riportare la lancetta dell’orologio a momenti passati e sepolti dalla storia. Passano le ore e gli attentatori si fanno vivi.
Alle 17,09 l’agenzia Ansa mette in rete poche righe.Le “Brigate Rosse per la costituzione del partito comunista combattente†rivendicano l’agguato al professore con una risoluzione strategica di 14 fogli su due facciate inviata al Messaggero e al Corriere della Sera. Sono in tutto 28 pagine fitte di righe. Il documento porta al centro una stella a cinque punte e una sigla:Brigate Rosse. E’ realizzato con il computer, non è dattiloscritto come i volantini brigatisti degli anni settanta. Nella parte iniziale c’è tutto il senso dell’azione.
†Il giorno 20 maggio 1999, a Roma, le Brigate Rosse per la Costruzione del Partito Comunista combattente hanno colpito Massimo D’Antona, consigliere legislativo del Ministro del Lavoro Bassolino e rappresentante dell’Esecutivo al tavolo permanente del †Patto per l’occupazione e lo sviluppoâ€. Con questa offensiva le Brigate Rosse per la Costruzione del Partito Comunista Combattente, riprendono l’iniziativa combattente, intervenendo nei nodi centrali dello scontro per lo sviluppo della guerra di classe di lunga durata, per la conquista del potere politico e l’istaurazione della dittatura del proletariato, portando l’attacco al progetto politico neo-corporativo del†Patto per l’occupazione e lo sviluppoâ€, quale aspetto centrale nella contraddizione classe/Stato, perno su cui l’equilibrio politico dominante intende procedere nell’attuazione di un processo di complessiva ristrutturazione e riforma economico- sociale, di riadeguamento delle forme del dominio statuale, base politica interna del rinnovato ruolo dell’Italia nelle politiche centrali dell’imperialismo.â€
Massimo D’Antona viene condannato a morte dai brigatisti perché ritenuto la mente pensante di quel “Patto per l’occupazione e lo sviluppoâ€,che aveva ideato per l’esecutivo guidato da Massimo D’Alema e per il ministro del Lavoro Antonio Bassolino.
“All’interno di questo quadro si è collocato l’incarico conferito a Massimo D’Antona, dapprima come esponente dell’Esecutivo nella definizione generale del “Patto per l’occupazione e lo sviluppoâ€, poi come responsabile della sua sede stabile, ossia il Comitato consultivo sulla legislazione del Lavoro, il Comitato ha la funzione dare attuazione alla strutturazione delle politiche neo-corporative, approvata con il Patto nel dicembre del 1998, e cioè alla istituzione di una consultazione continua tra esecutivo e parti sociali………â€
Il documento analizza la politica italiana, il governo delle sinistre, la situazione internazionale ,la guerra nella ex Jugoslavia. L’attacco al sindacato,e in particolare alla Cgil è nello stile dei vecchi documenti delle Brigate Rosse degli anni settanta. Una copia quasi conforme,a cose già viste e sentite.
“La linea seguita dalla Cgil, nell’aggressione Nato alla Jugoslavia, è stata quella di fare assumere con gesti concreti una posizione ai lavoratori italiani, nella polarizzazione del conflitto tra Jugoslavia e secessionismo kosovaro-imperialismo Nato, per sfruttare ogni minima possibilità di attiva legittimazione dell’intervento bellico, che viene qualificato dal suo segretario Cofferati, come una “necessità contingenteâ€, in una posizione più generale che preme il governo italiano e che, rivendicando una funzione attiva dell’Europa nell’area balcanica, chiede che l’Europa stessa si attrezzi politicamente, istituzionalmente e militarmente a svolgerla congiuntamente agli Usa…”.
Aggettivi e termini sono certamente cambiati ma il gergo,il gusto per le sigle e per gli assiomi sono gli stessi. E’ identico il tentativo di condurre un ragionamento politico inoppugnabile che non lasci mai spazio ad alcuna contestazione. La ragione degli “eredi†delle Brigate Rosse è una e immutabile, con un vago sentore nostalgico per l’ex blocco sovietico e una critica alla Germania che ha “inglobato†l’ex Ddr, la Repubblica democratica tedesca.
“Nell’affermazione del processo di coesione europea una funzione centrale di spinta è stata svolta dalla Germania, nel suo ruolo di principale potenza economica europea, che si è ulteriormente accentuato con la fine degli equilibri di Yalta, con l’inglobamento dell’ex-Ddr e con l’esportazione di capitali nei paesi dell’est europeo e con l’influenza politica che vi esercita……â€
Lo stile e il testo sembrano nati in due tappe. E’ come se le 28 cartelle del documento fossero uscite dalla penna di giovani di oggi, colti, intelligenti, informati della politica nazionale e internazionale, di buona formazione e di buone letture. Una risoluzione scritta a più mani. I giovani “erediâ€, prima di scrivere il testo, avrebbero però passato in rassegna tutti gli antichi documenti delle Brigate Rosse, compresi quelli del sequestro e dell’omicidio del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro. Poi discusso, per ore, con uno della vecchia guardia degli anni ’70 e ’80. E’ lui che avrebbe lasciato una impronta davvero indelebile sul documento rivendicativo per l’assassinio di Massimo D’Antona. Ci sono le analisi politiche aggiornate fino all’elezione di Carlo Azeglio Ciampi al Quirinale, termini e aggettivi attuali,che non apparivano nelle risoluzioni strategiche di vent’anni fa. Al posto del vecchio “Simâ€,lo Stato Imperialista delle Multinazionali, c’è la “B.Iâ€,la †Borghesia internazionale†.
“Se da una parte, quindi, la risposta è quella di incrementare le misure repressive generali, rafforzare organici e strumentazioni degli apparati di polizia (vedi pacchetto anticriminalità Diliberto-Jervolino), inasprire le sanzioni anti-sciopero, estendere le campagne di criminalizzazione e la pratica dell’incriminazione delle lotte di settori che non accettano la subordinazione agli interessi della B.I. ma anche alternativamente quella di assorbire e svilire l’opposizione di settori di proletariato, dall’altra, l’istanza di una più forte legittimazione dell’azione statuale viene soddisfatta affiancando al canale di legittimazione istituzionale, politico-rappresentativo, quello negoziale con le parti sociali….â€Â 
Ma il continuo ricorso alle maiuscole è davvero qualcosa di più di un’impronta. Non manca una sorta di autocritica al vecchio spontaneismo. Quasi una spiegazione delle antiche sconfitte. Il giudizio sul governo guidato da Massimo D’Alema e sulla politica riformista dei Democratici di sinistra è duro.
“Un ruolo particolare in questi anni è stato svolto dal Pds che ha sostenuto organicamente le politiche di riforma e ristrutturazione economico-sociale e di forzatura degli assetti politici. All’interno del Pds è D’Alema che ha operato alla costruzione degli equilibri politici che hanno sostituito il governo Berlusconi e ricondotto, l’opposizione di classe ad esso, in un ambito funzionale all’esercizio di un ruolo di governo. 
Un ruolo quello di D’Alema, e dei Ds in generale, che viene rilanciato dalla responsabilità assunta, dal suo governo, con il pieno impegno dell’Italia nell’attacco alla Jugoslavia, responsabilità che gestisce le continue forzature con un’articolata tattica di progressive ratifiche parlamentari al coinvolgimento delle forze armate italiane nella infame e folle aggressione al popolo Jugoslavo……â€
C’è poi un richiamo all’omicidio di Roberto Ruffilli, il consigliere per i problemi istituzionali dell’allora presidente del Consiglio Ciriaco De Mita,avvenuto il 16 aprile 1988 a Forlì. Il richiamo a quel delitto è già un forte indizio.E’ come se le nuove leve delle Brigate Rosse-Partito Comunista Combattente riprendessero il folle progetto di lotta armata proprio da dove lo avevano terminato,sul finire degli anni ’80.
“In questo quadro, De Mita, sia come segretario della Dc, che come Presidente del Consiglio, nell’assunzione della necessità di ridefinizione complessiva della mediazione politica, richiesta dal dover corrispondere ai termini del governo dell’economia che si prospettavano per dare risposta alle spinte della borghesia imperialista e garantire la governabilità del conflitto di classe, tentò di attestare un progetto, e i relativi equilibri politici, che partisse dalla ridefinizione della rappresentanza politica e dell’assetto istituzionale…
La concezione che sosteneva questo progetto ruotava intorno alla tesi che il processo controrivoluzionario avesse prodotto una condizione di modificazione dei rapporti di forza tra le classi e una ridefinizione delle forze politiche intorno agli interessi della B.I. L’attacco delle Br-Pcc al progetto di riforma dello Stato, attuato con l’azione contro Ruffili in dialettica con l’opposizione della classe, e le contraddizioni interne al quadro politico-istituzionale legato anche ad altre frazioni della borghesia, impediscono l’affermazione del progettoâ€.
Oltre all’agguato a Roberto Ruffilli c’è un altro indizio e un legame con il passato. E’ l’attentato al Defence College della Nato,avvenuto a Roma nella notte tra il 9 e il 10 gennaio 1994. Un ordigno di grande potenziale distrusse un’ala intera del palazzo, senza provocare vittime.
“Un processo di rifunzionalizzazione della Nato e del ruolo dei singoli Stati imperialisti in essa, che non è affatto privo di contraddizioni, che si deve imporre sulle resistenze che trova all’interno dei paesi e deve contrastare le tendenze al coagularsi dell’opposizione alla guerra in opzioni offensive e rivoluzionarie; processo contro il quale, in Italia, già nel 1994 i Nuclei Comunisti Combattenti collocarono la propria iniziativa offensiva contro il Nato Defence College, in occasione del Vertice Nato di Bruxelles con cui si sanzionavano le linee del Nuovo Ordine Mondiale……â€
La continuità con il passato è espressa nella parte finale del lungo documento.Il piano d’azione dei nuovi brigatisti si snoda attraverso quattro tappe:l’assassinio di Roberto Ruffilli dell’88,il tentato attacco alla sede di Confindustria nel ‘92,l’attentato alla Nato del ’94 e l’uccisione di Massimo D’Antona del ‘99.
“ Un attacco al “cuore dello Stato†che è il portato della dialettica politica tra una linea di continuità-critica-sviluppo del patrimonio comunista in specifico dell’esperienza prodotta dalle Br nel nostro paese e peculiarmente del ricentramento operato dalle B.R.-P.C.C. nella Ritirata Strategica, e il concetto percorso di riaggregazione delle avanguardie rivoluzionarie, in funzione della ricostruzione delle forze rivoluzionarie e in particolare di un’Organizzazione Comunista Combattente che agisca da partito per costruire il Partito.Un processo di aggregazione che costituisce uno stadio peculiare della Fase di Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie, processo che ha visto come passaggio centrale il rilancio dell’iniziativa rivoluzionaria operato dai Nuclei Comunisti Combattenti, con l’attacco all’accordo sulla politica dei redditi tra governo confindustria e sindacati confederati, nel ’92 con l’attacco contro la sede della Confindustria, e nel ’94 in occasione del Vertice N.A.T.O. di Bruxelles, con l’iniziativa contro il N.A.T.O. Defence College con cui veniva attaccato il disegno di nuovo ordine mondiale e la strategia di “presenza avanzata†e la complessiva rifunzionalizzazione della …â€
Come ogni risoluzione strategica, i brigatisti inseriscono nelle ultime righe il loro obiettivo finale:diventare punto di riferimento per cellule e gruppi che agiscono in clandestinità,ma senza organizzazione.
“E’ perciò questo l’obiettivo che le Br-Pcc propongono alle avanguardie rivoluzionarie congiuntamente all’obiettivo della ricostruzione del complesso di strumenti politico-militari-teorici e organizzativi necessari al campo proletario per sostenere lo scontro prolungato con lo Stato per l’affermazione degli interessi generali della classe. Parallelamente, alle forze e istanze rivoluzionarie e antimperialiste della nostra area geopolitica, le Br-Pcc propongono la costruzione del Fronte Antimperialista Combattente per la realizzazione di attacchi convergenti e comuni contro le politiche centrali dell’imperialismo al fine di indebolirne il dominio, quadro entro cui sviluppare i processi rivoluzionari nei singoli paesiâ€.
Una pagina triste, un uomo che muore per aver provato a migliorare “l’occupazione e lo sviluppo” di questo nostro Paese… 
Volevo quindi ricordare quell’uomo, ma nell’iniziare a scrivere questo post, mi sono ricordato di aver letto un giorno un articolo esemplare che mi ero appositamente conservato, perché descriveva in maniera inappuntabile quanto accaduto prima durante e dopo, gli ultimi passi del giurista e docente… 
Rappresenta una pagina di storia fondamentale e che purtroppo i ragazzi di oggi poco conoscono… Spero così facendo di rimediare a quei mancati insegnamenti a cui la società civile, la scuola, le istituzioni, non riescono in maniera capillare a trasmettere, dimenticando quanto sia necessario far comprendere ai giovani gli errori ideologici commessi e che essi non abbiano mai più a ripetersi!!! 

Riportava un tempo l’ex magistrato Luciano Violante: “Per intrecciare relazioni di questo tipo, lo strumento privilegiato dai gruppi mafiosi è, più che la violenza, la corruzione, la quale è per sua natura silenziosa, crea un clima di complicità, favorisce la mimetizzazione, consente di conseguire l’utile desiderato con rischi minori, mina dall’interno le istituzioni”. 
Sulla stessa lunghezza d’onda il pensiero di un altro magistrato siciliano, Antonio Ingroia, che da sempre ha sottolineato la pericolosità dei rapporti esterni della mafia: “Il rafforzamento che deriva all’associazione mafiosa da tali rapporti, è evidente; è in virtù di essi che la mafia è un potere criminale prima ancora che un’organizzazione criminale. Un sistema di potere fondato certamente sulla violenza, ma che per la sua sopravvivenza ha bisogno di un costante rapporto con settori della classe dirigente”!!!
E difatti, quanto fin qui emerso grazie alle inchieste delle varie procure siciliane, dimostra – senza che permanga in proposito alcun ragionevole dubbio – come le organizzazioni mafiose abbiano negli anni curato quella loro politica di relazioni esterne, con tutti gli esponenti di quelle categorie professionali ed in particolare con i dirigenti/quadri degli Enti pubblici, per proseguire con esponenti al vertice del circuito politico-istituzionale…
La presenza di tali soggetti è ormai certa e si estende dal settore finanziario a quello giuridico, da quello degli organi d’informazione, fino ai settori culturali più diversi… 
Ovviamente questi soggetti esterni, non sono dei veri e propri “affiliati“, ma pur non facendo parte direttamente di quella organizzazione mafiosa, ne costituiscono un punti di riferimento per l’individuazione, l’organizzazione, la conduzione e la massima redditività di quell’attività criminale…
Difatti, ciò che ha reso quell’organizzazione criminale così importante, non è rappresentato dalla sua pericolosità espressa in potenza militare, ma dalla rete di relazioni esterne in funzione delle quali è sempre riuscita a superare – ove possibile – indenne, quelle l’emergenze che negli anni si sono manifestate, mantenendo immobile il proprio potere sul territorio e quindi sulla società civile…
D’altronde, se non si comprendono quei legami e quelle relazioni esterne, si comprende poco della mafia attuale…
Infatti, già a suo tempo riportava bene l’ex magistrato Gian Carlo Caselli: “La mafia… è mafia proprio perché ha potuto e può ancora contare su quegli appoggi esterni, indispensabili alla sua esistenza e soprattutto alla sua espansione”…
Ecco perché un gruppo mafioso è più forte di un’altro, a seconda se possiede una maggiore capacità espansiva e cioè se presenta al suo interno, non solo una struttura organizzativa solidale in grado di limitare la penetrabilità e la razionalizzazione delle attività svolte, ma soprattutto perché presenta un’estensione verso l’esterno, permettendo così ad essa un incremento del capitale sociale disponibile. 
Attraverso queste ulteriori capacità relazionali, alcuni gruppi mafiosi hanno accresciuto  maggiormente il loro capitale e di conseguenza i propri utili, che poi hanno riciclato per estendere i loro tentacoli e per intrecciarne nuove amicizie e conoscenze, riproducendosi ed infettando come un cancro, non solo lo spazio delle proprie aree di origine, ma soprattutto quelle di nuove e diversa pertinenza… 
Ecco perché tra quei mafiosi ed i soggetti esterni si è stabilito un vero e proprio “equilibrio” che, pur essendo spesso temporaneo e occasionale, ha reso possibile quella loro cooperazione e quello scambio di favori e corruzioni… 
Fintanto quindi che quei mafiosi avranno la capacità di procurarsi all’esterno i necessari aiuti per compiere quei loro affari illeciti, allorquando ci saranno sempre soggetti disponibili a farsi corrompere e a instaurare con loro rapporti di scambio reciprocamente vantaggiosi, e soprattutto, con un ambiente come quello attuale, pieno d’individui ricattabili legati al mondo della politica e dell’imprenditoria… non mi si dica di credere a quanto ho sentito pronunciare oggi dalla cittadina di Corleone e cioè che lo Stato: “Vince”!!! 

Sembra incredibile lo so… eppure a differenza di ciò che viene detto, la mafia ha dimostrato non solo di rimanere presente su tutto il territorio regionale, ma soprattutto ha saputo mettere in atto una opera d’infiltrazione in ogni settore dell’attività economica e finanziaria di questo paese…
Il fruttuoso reinvestimento dei proventi illeciti, le ha permesso inoltre d’inserirsi all’interno di quei meccanismi di funzionamento della Pubblica Amministrazione ed in particolare nell’ambito di quegli Enti Locali. 
Insomma, le cosche mafiose non sparano più… ma sono ben presenti, tanto da aver saputo infettare la “Cosa pubblica”!!! 
Dopo tutti quegli anni di “sommersione” (una strategia iniziata da Bernardo Provenzano e seguita dopo la sua cattura…), “cosa nostra” ha attraversato una fase di transizione, iniziando a individuare la figura di un nuovo leader, decisione che è stata presa, senza bisogno di dover dare il via, ad un conflitto violento tra le varie famiglie.
D’altronde la stessa figura del suo nuovo capo, Matteo Messina Denaro, si sa… non è stata mai “ufficializzata”!!!
Non per nulla quella figura, è stata più volte screditata proprio dal “Capo dei Capi”, Totò Riina, che non ne ha mai riconosciuto l’investitura… 
Comunque, quella cosiddetta costituzione formale, ha permesso all’organizzazione di risollevarsi dalle ceneri e riprendere il posto che aveva all’interno della società… 
Ecco perché cosa nostra si presenta tuttora come un’organizzazione solida, fortemente strutturata nel territorio, riconosciuta per autorevolezza dai vari strati della popolazione, dotata ancora di risorse economiche sconfinate ed intatte, dunque più che mai in grado di esercitare un forte controllo sociale ed una presenza diffusa e pervasiva…
E’ il motivo per cui a guidare ancora quei clan ci sono spesso esponenti storici di quelle cosche, che finita di scontare la pena tornano alle loro vecchie attività, reiterando in tal modo la capacità criminale propria e dell’organizzazione. 
Certo la speranza è quella di vedere riappropriare i Siciliani della propria coscienza, ciascuno di essi deve dimostrare una vera azione di contrasto nei confronti di quella associazione criminale e di tutti quei soggetti legati ad essa, siano essi politici, funzionari, imprenditori, mafiosi e via discorrendo… 
Sì… se si è tutti uniti, si potranno determinare quelle condizioni favorevoli, affinché il consenso, l’acquiescenza e la sudditanza di cui quella organizzazione ha goduto, in passato e ancora oggi, vengano definitivamente a mancare!!!
Se ci vogliamo riappropriare di ciò che è nostro, dobbiamo iniziare a sognare!!! 
Si stringe davvero il cerchio delle forze dell’ordine intorno al ricercato numero uno d’Italia???
L’uomo ritenuto da tutti al vertice di Cosa Nostra dopo gli arresti eccellenti di Totò Riina e Bernardo Provenzano è prossimo alla cattura??? 
No… non credo sia corretto pensare che il cerchio si stia stringendo o che si sia a un passo dalla cattura, questo è quanto i media ci vogliono fare credere, d’altronde dopo tutti questi anni di latitanza e i numerosi arresti di familiari e fiancheggiatori, è presumibile da pare di tutti pensare che si sia… ad uno sbocco delle indagini.
Ma Matteo Messina Denaro ha dimostrato essere totalmente diverso dai suoi ex colleghi del passato, si a lungo latitanti (ma era tutt’altro periodo, tanto che nessuno di fatto li cercava…), ma alla fine arrestati, concludendo quelle proprie esistenze prima al carcere duro e poi al camposanto…
Ma egli a differenza loro è guardingo, non si fida di nessuno, sta molto attento… in particolare ai dettagli che vengono evidenziati ogni qualvolta dalle indagini compiute dalle forze dell’ordine… 
E’ logico quindi pensare che egli controlli tutto e tutti… e che abbia talpe ovunque, anche all’interno di quegli uffici istituzionali…
Difatti, sono certo che dalle parole espresse dai magistrati -durante le conferenze stampa- comprenda gli errori compiuti e fa in modo che quest’ultimi non abbiano a ripetersi…
I suoi uomini più fidati… sono sicuramente all’oscuro dei suoi spostamenti, poiché egli, se vuole sopravvivere, non si deve fidare di nessuno, ed è il motivo principale per cui le indagini per la sua localizzazione risultano particolarmente difficili se non impossibili!!! 
E dire che egli secondo i pentiti, mantiene i contatti con il territorio e allo stesso tempo si dimostra mobile…
Questa mattina la Direzione investigativa antimafia di Trapani (Dia) ha eseguito l’ennesima ordinanza di custodia cautelare in carcere, nei confronti di un imprenditore edile di Castelvetrano, ritenuto “uomo di fiducia” del boss latitante, con l’accusa è di associazione a delinquere di stampo mafioso…
Nell’ambito della stessa operazione è stato disposto anche un provvedimento di sequestro preventivo di due società che si occupano del  commercio di conglomerati cementizi, movimento terra e costruzione generale di edifici… 
Secondo le indagini, l’uomo avrebbe sfruttato il suo forte rapporto privilegiato con il boss, per potersi aggiudicare le forniture di alcune commesse nel settore delle costruzioni edili e del calcestruzzo…
Un sistema che permetteva ai consociati mafiosi più vicini al latitante, l’individuazione e l’eliminazione dal mercato di tutte le altre imprese concorrenti, lasciando così quegli appalti, direttamente elle imprese mafiose, che potevano provvedevano e approvvigionare ed i cui, una parte di quei proventi, sono servii a finanziare quell’organizzazione criminale e mafiosa del boss di Castelvetrano..
Per chi non mi avesse letto in precedenza, alcuni mesi fa… avevo riportato in un mio post, una convinzione e cioè che boss di cosa nostra, fosse in Sicilia e non si fosse allontanato minimamente da quel suo paese….
Oggi, contrariamente a quella previsione, ho la convinzione che il boss non sia più in Italia, ma che diriga tutto dall’estero!!! 
Provo quindi a fare una previsione: Se fossi io al suo posto, dove mi trasferirei per essere sicuro di non essere,come si dice…  agguantato??? 
Spagna (Costa del Sol o Tenerife…) e ancor più, Repubblica Dominicana e Colombia, mi sembrano delle collocazioni, perfettamente adeguate all’occorrenza!!!
Il giorno che dovesse essere arrestato… vedremo di quanto mi ero sbagliato.  Â