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Quello delle imprese “controllate” è un tema di difficile soluzione e ciò è dovuto al fatto che dietro ciascuna di quelle imprese si nasconda un prestanome, posto lì per evitare che da eventuali controlli possa emergere un legame diretto di affiliazioni o eventuali parentele con uomini di cosa nostra…    

Ma il problema da affrontarsi (in maniera seria) in quei controlli di trasparenza, non dovrebbe riguardare e quindi restringersi ai soli dati anagrafici di quei soggetti che decidono di svolgere funzioni imprenditoriali, bensì dalla reale capacità di quest’ultimi di possedere capacità propria, economica e finanziaria!!!

Mi riferisco a quella semplice condizione per diventare un’imprenditore, a dirlo tra l’altro è proprio il termine stesso, basta cercarlo su “google”: Per diventare imprenditore servono abilità, impegno, dedizione, spirito di sacrificio e soprattutto risorse di denaro!!!

Ecco, siamo giunti nuovamente alla mia premessa e cioè quella che per fare impresa bisogna dimostrare d’aver capacità economica, d’altronde senza questo fondamentale requisito, sarebbe facile per chiunque fare impresa…

Ed allora, quando un soggetto diventa a tutti gli effetti di legge “imprenditore“, attraverso la costituzione di una società o l’acquisizione di una esistente (solitamente con l’estromissione dei precedenti titolari, grazie anche all’omertà delle vittime determinata non solo da paura ma anche dai pregressi rapporti con i componenti del sodalizio), ecco, quando si formalizza quella nomina di legale  rapresentante, dovrebbero immediatamente partire i controlli, non solo quelli già conosciuti che fanno parte di quel cosiddetto “Protocollo di legalità“, ma bensì tutta una serie di verifiche, come ad esempio le informazioni bancarie, le stesse che potranno evidenziare la reale capacità finanziaria di quel soggetto ora promossosi ad imprenditore…

Comprendere quindi quali somme egli abbia gestito nel corso della propria vita, ma soprattutto analizzare come esse siano state realizzate, concretizzate, alimentate e verificare i fatturati che hanno permesso ad egli quell’eventuale crescita finanziaria, controlli di vitale importanza per fermare anzitempo l’ennesima attività illegale!!!      

Altrimenti sarebbe troppo semplice, già… a chiunque verrebbe data così la possibilità di diventare imprenditore ed è proprio ciò che la maggior parte di essi fa… facendosi finanziare da quelle organizzazioni criminali e sfruttando gli strumenti posti a disposizione da quel capitale mafioso che incontra, si mescola e si occulta, con quello legale…

Non dobbiamo quindi credere che quell’imprenditore rappresenti un soggetto deliquenziale o che preferisca procedere sin dal suo insediamento in maniera “illegale”, ad esempio mancando di rispettere le norme su contratti di lavoro, le imposte e/o contributi previdenziali, no… i nuovi imprendori e soprattutto alla nuova criminalità interessa poco o nulla operare sul mercato in maniera illecita, anzi tutt’altro, quest’ultima ha deciso di restare in maniera stabile nel territorio e vuole quindi affermarsi sul mercato legale, non solo nella propria regione , ma anche in altre…

Queste “imprese controllate“, sfruttando la propria capacità finanziaria (derivata dal riciclaggio di denaro sporco) non hanno alcuna preoccupazione se durante quella propria gestione, si dovesse presentare una imprevista perdita, perché quest’ultima verrebbe coperta in maniera celere, grazie ai profitti derivati da altre attività commerciali e ad un sistema di scambi vantaggiosi con altre imprese affiliate…

Già… ad esse interessa poco incrementare i profitti o abbattere i costi attraverso il lavoro, poiché non si ha alcun problema di liquidità e quindi, grazie all’ingresso costante di capitale da ripulire, ci si dedica principalmente ad infiltrarsi in quegli appalti milionari e nei fondi pubblici posti loro a disposizione… 

E’ evidente come mentre in passato la mafia deprimeva l’economia di un territorio riducendo quindi la capacità di spesa pubblica locale, adesso le nuove “imprese controllate” hanno le competenze necessarie per poter attrarre più investimenti pubblici nelle loro zone di influenza, in modo da vincere facilmente il maggior numero di appalti!!!

Queste imprese sono diventate delle vere e proprie agenzie di servizi, pronte a mettersi a disposizione dell’economia con il proprio capitale (illecitamente accumulato), creando così consenso sociale, politico e un controllo amministrativo del territorio in cui operano, grazie alla costante corruzione alimentata attraverso mazzette, ma soprattutto attraverso l’enorme disponibilità di posti di lavoro offerti, nuovo baratto di sodalizi clientelari… 

E quindi, nonostante gli sforzi fatti nel corso degli anni dai vari governi nazionali, con l’introduzione ad esempio della Banca dati unica, della documentazione antimafia e di quella stessa autocertificazione antimafia, lo Stato ha di fatto subito finora una sconfitta!!!

D’altronde la dimostrazione su quest’ultima affermazione è palese: tutti questi strumenti hanno evidenziato una grande lacuna, in quanto alla maggior parte di quelle imprese controllate è stato semplice aggirare i controlli, già… semplicemente ricorrendo ad uno dei tanti prestanome!!!

Saranno tre i vincitori a cui verrà consegnato il “Premio Agosta” durante l’incontro “Unirsi contro le mafie, tecniche preventive e monitoraggio del fenomeno” previsto il l8 marzo c.a. alle ore 10.00, nella sala conferenze de “Le Ciminiere” di Catania.

E precisamente, l’ufficiale dei Carabinieri del Ros, Lucio Arcidiacono (lo stesso che ha catturato il latitante Matteo Messina Denaro), il Procuratore Generale, Dott. Carmelo Zuccaro, ed infine, uno dei giornalisti maggiormente impegnati nella nostra isola, capace attraverso le sue inchieste di cronaca, d’evidenziare tutte quelle collusioni mafiose, politico, imprenditoriali, che come ben sappiamo, sono ben presenti nella nostra regione, mi riferisco al Dott. Antonio Condorelli.

Saranno presenti inoltre alcuni studenti delle quinte superiori, universitari e rappresentanti dell’Ordine degli avvocati che hanno partecipato alle iniziative di sensibilizzazione dell’associazione antimafia Agosta. 

Ad aprire i lavori sarà Emanuele Coco, docente di storia e filosofia dell’università. 

Sono previsti interventi del ministro Nello Musumeci, di Carmelo La Rosa, Presidente dell’associazione nazionale antimafia Alfredo Agosta, di Emilio Grasso, dirigente dell’ufficio scolastico regionale per la Sicilia, di Antonino Guido Distefano, Presidente dell’Ordine degli avvocati, di Filippo Pennisi, Presidente della Corte d’appello e del Prefetto di Catania, Maria Carmela Librizzi.

Una sessione degli studi sarà inoltre dedicata al ricordo del maresciallo Alfredo Agosta, con la relazione del figlio Giuseppe. 

Previste altresì tre relazioni, quella dell’avvocato Ivan Albo, del generale di corpo d’armata e comandante interregionale dei Carabinieri Giovanni Truglio e del Pg Carmelo Zuccaro. Le conclusioni saranno di Chiara Colosimo, Presidente della commissione nazionale antimafia.

Ho letto un articolo del procuratore aggiunto di Genova, Francesco Pinto, che parlava dei mancati controlli sugli affidamenti i quali comportano un’esplosione dei subappalti e l’incentivazione del caporalato, oltre naturalmente a incentivare – come sempre accade in queste occasioni – gli illeciti. 

La circostanza di affermare che quanto si realizza serve a determinare una riduzione dei tempi non è vero, in quanto questa decisione, non ha nulla a che fare con la trasparenza, anzi viceversa, in questo modo non si favorisce lo snellimento delle procedure, ma l’illegalità!!! 

Il procuratore aggiunto la definisce “una truffa delle etichette” le misure su appalti e fisco annunciate dal governo: esse favoriscono un sistema criminogeno e sono un aiuto alle mafie!!! 

Perché parla di truffa? Perché lo smantellamento dei controlli non ha niente a che fare con la sburocratizzazione. Ciò che dice il governo è fuorviante. L’Italia ha poco tempo e molti soldi da spendere. Semplificare non è una buona strada? Per rendere più rapidi i lavori occorrerebbe intervenire sulla riduzione dei tempi di autorizzazione e non mi risulta che sia stato fatto.

Può fare un esempio? 

Sì… le opere in Italia sono soggette a iter complessi, vari enti si pronunciano su aspetti progettuali, architettonici, ambientali, paesaggistici, artistici; se davvero si volesse velocizzare i processi si potrebbe radunare tutte le decisioni in una unica sede, una conferenza di servizi, invece si riduce la trasparenza, che non ha nulla a che vedere con la lentezza: è una truffa delle etichette!!!

Per semplificare Salvini propone affidamenti diretti fino a 150 mila euro. È un punto molto problematico. Per la nostra esperienza – coordino il pool reati economici – già con la soglia attuale, 50 mila euro, ci troviamo spesso di fronte agli appalti “spezzatino”: turbative d’asta architettate per aggirare l’obbligo di gara obbligatorio per importi più ingenti. Triplicare quella soglia significa estendere il fenomeno a importi ben più significativi.

Lavori fino a 5 milioni di euro saranno eseguiti con procedure negoziate. Per l’Anac il 98% degli appalti sarà assegnato senza gara. Cosa ne pensa? La previsione dell’Anac dice già tutto. In via teorica l’affidamento diretto può premiare l’impresa migliore, ma anche quella che ha pagato la mazzetta!!!

È un via libera alla corruzione? Questo combinato disposto – l’innalzamento delle soglie abbinato all’affidamento senza gara – favorisce un sistema corruttivo, oggettivamente criminogeno. 

Un impianto simile incentiva accordi collusivi e corruttivi fra amministratori e imprenditori. Il pacchetto prevede di togliere ogni limite al subappalto. Cosa comporta? Anche qui mi baso sull’esperienza giudiziaria, coordinando anche il pool sicurezza e lavoro; una misura del genere ha due rischi: ridurre la sicurezza sul lavoro e favorire il caporalato.In che modo? Dopo l’ultimo incidente mortale in un cantiere edile, un anno fa, la Procura di Genova ha approvato il protocollo “cantiere etico”, linee guida che consentono anche alle forze dell’ordine non specializzate di rilevare anomalie in modo preventivo. 

Da questa esperienza trova conferma un dato: le violazioni normative più palesi spesso riguardano le piccole aziende in subappalto.

Lei parla addirittura di incentivo al caporalato. Non è troppo? 

Senza controlli sui subappalti rischiamo un subappalto anche delle braccia. 

C’è un’ulteriore deroga che riguarda la normativa antimafia, considerata anche in questo caso responsabile dei rallentamenti delle opere. Anche questo è molto bizzarro. 

L’ultima grande opera costruita in Italia – il Ponte di Genova – è stata realizzata con efficienza e rapidità, e sottoposta a rigidi controlli antimafia, coordinati da un magistrato, l’ex procuratore Michele Di Lecce. 

Stupisce che chi esalta il cosiddetto “Modello Genova” adesso voglia liberarsi di un pilastro di quel modello…

È in arrivo anche uno scudo penale su alcuni reati fiscali, che si aggiungerebbe al condono fiscale. 

Un conto è abbonare una cartella da mille euro per multe non pagate: un brutto segnale, un disincentivo a pagare le tasse, che danneggia lo Stato e il welfare, ma pur sempre una scelta che ha natura politica. 

Altra cosa è depenalizzare di fatto reati fiscali gravi commessi con frode, come l’emissione di fatture false, attività oggi basilare per le mafie: questo è un vero e proprio sdoganamento di attività criminali, un regalo alla criminalità organizzata!!!

Il mondo cambia e le mafie si adattano, si adeguano, si aggiornano. 

La Direzione Investigativa Antimafia, nella sua ultima relazione semestrale, descrive un contesto della criminalità organizzata di stampo mafioso meno violento e più affaristico, fatto di corruzione e intimidazione, capace di rivolgere il proprio sguardo anche alle nuovissime tecnologie. 

Meno violenza, più affari: “Le organizzazioni criminali di tipo mafioso, nel loro incessante processo di adattamento alla mutevolezza dei contesti, hanno implementato le capacità relazionali sostituendo l’uso della violenza, sempre più residuale, con strategie di silenziosa infiltrazione e con azioni corruttive e intimidatorie“.

Già… sembra una cosa semplice a dirsi, ma posso assicurare che dietro quel meccanismo mafioso/corruttivo e soprattutto clientelare, vi è una struttura di professionisti ben preparati, atti a svolgere con capacità e tecnica organizzativa quanto necessario, sia per far aggiudicare alle imprese amiche taluni appalti pubblici e sia per indirizzare quei fondi milionari verso di essi… 

Ed ora ditemi: ma realmente pensavate che quel denaro non sarebbe finito (per come da sempre avviene in questa nostro Paese) in mazzette per sostenere quelle attività corruttive da tempo soggiogate da tutte quelle infiltrazioni mafiose???

Chi ha ucciso Paolo Borsellino? La mafia o, come scrivono i giudici della Corte d’assise di Caltanissetta, “soggetti diversi da Cosa nostraâ€??? 31 anni non sono bastati per conoscere la verità!!!

Caro Paolo,

oggi siamo qui a commemorarti in forma privata perché più trascorrono gli anni e più diventa imbarazzante il 23 maggio ed il 19 luglio partecipare alle cerimonie ufficiali che ricordano le stragi di Capaci e di via D’Amelio.

Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole – emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà.

E come se non bastasse, Paolo, intorno a costoro si accalca una corte di anime in livrea, di piccoli e grandi maggiordomi del potere, di questuanti pronti a piegare la schiena e abarattare l’anima in cambio di promozioni in carriera o dell’accesso al mondo dorato dei facili privilegi.

Se fosse possibile verrebbe da chiedere a tutti loro di farci la grazia di restarsene a casa il 19 luglio, di concederci un giorno di tregua dalla loro presenza. Ma, soprattutto, verrebbe da chiedere che almeno ci facessero la grazia di tacere, perché pronunciate da loro, parole come Stato, legalità, giustizia, perdono senso, si riducono a retorica stantia, a gusci vuoti e rinsecchiti.

Voi che a null’altro credete se non alla religione del potere e del denaro, e voi che non siete capaci di innalzarvi mai al di sopra dei vostri piccoli interessi personali, il 19 luglio tacete, perché questo giorno è dedicato al ricordo di un uomo che sacrificò la propria vita perché parole come Stato, come Giustizia, come Legge acquistassero finalmente un significato e un valore nuovo in questo nostro povero e disgraziato paese.

Un paese nel quale per troppi secoli la legge è stata solo la voce del padrone, la voce di un potere forte con i deboli e debole con i forti. Un paese nel quale lo Stato non era considerato credibile e rispettabile perché agli occhi dei cittadini si manifestava solo con i volti impresentabili di deputati, senatori, ministri, presidenti del consiglio, prefetti, e tanti altri che con la mafia avevano scelto di convivere o, peggio, grazie alla mafia avevano costruito carriere e fortune.

Sapevi bene Paolo che questo era il problema dei problemi e non ti stancavi di ripeterlo ai ragazzi nelle scuole e nei dibattiti, come quando il 26 gennaio 1989 agli studenti di Bassano del Grappa ripetesti: “Lo Stato non si presenta con la faccia pulita… Che cosa si è fatto per dare allo Stato… Una immagine credibile?… La vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinché lo Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioniâ€.

E a un ragazzo che ti chiedeva se ti sentivi protetto dallo Stato e se avessi fiducia nello Stato, rispondesti: “No, io non mi sento protetto dallo Stato perché quando la lotta alla mafia viene delegata solo alla magistratura e alle forze dell’ordine, non si incide sulle cause di questo fenomeno criminaleâ€. E proprio perché eri consapevole che il vero problema era restituire credibilità allo Stato, hai dedicato tutta la vita a questa missione.

Nelle cerimonie pubbliche ti ricordano soprattutto come un grande magistrato, come l’artefice insieme a Giovanni Falcone del maxiprocesso che distrusse il mito della invincibilità della mafia e riabilitò la potenza dello Stato. Ma tu e Giovanni siete stati molto di più che dei magistrati esemplari. Siete stati soprattutto straordinari creatori di senso. 

Avete compiuto la missione storica di restituire lo Stato alla gente, perché grazie a voi e a uomini come voi per la prima volta nella storia di questo paese lo Stato si presentava finalmente agli occhi dei cittadini con volti credibili nei quali era possibile identificarsi ed acquistava senso dire “ Lo Stato siamo noiâ€. Ci avete insegnato che per costruire insieme quel grande Noi che è lo Stato democratico di diritto, occorre che ciascuno ritrovi e coltivi la capacità di innamorarsi del destino degli altri. Nelle pubbliche cerimonie ti ricordano come esempio del senso del dovere.

Ti sottovalutano, Paolo, perché la tua lezione umana è stata molto più grande. Ci hai insegnato che il senso del dovere è poca cosa se si riduce a distaccato adempimento burocratico dei propri compiti e a obbedienza gerarchica ai superiori. Ci hai detto chiaramente che se tu restavi al tuo posto dopo la strage di Capaci sapendo di essere condannato a morte, non era per un astratto e militaresco senso del dovere, ma per amore, per umanissimo amore.

Lo hai ripetuto la sera del 23 giugno 1992 mentre commemoravi Giovanni, Francesca,Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Parlando di Giovanni dicesti: “Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generatoâ€.

Questo dicesti la sera del 23 giugno 1992, Paolo, parlando di Giovanni, ma ora sappiamo che in quel momento stavi parlando anche di te stesso e ci stavi comunicando che anche la tua scelta di non fuggire, di accettare la tremenda situazione nella quale eri precipitato, era una scelta d’amore perché ti sentivi chiamato a rispondere della speranza che tutti noi riponevamo in te dopo la morte di Giovanni.

Ti caricammo e ti caricasti di un peso troppo grande: quello di reggere da solo sulle tue spalle la credibilità di uno Stato che dopo la strage di Capaci sembrava cadere in pezzi, di uno Stato in ginocchio ed incapace di reagire.

Sentisti che quella era divenuta la tua ultima missione e te lo sentisti ripetere il 4 luglio 1992, quando pochi giorni prima di morire, i tuoi sostituti della Procura di Marsala ti scrissero: “La morte di Giovanni e di Francesca è stata per tutti noi un po’ come la morte dello Stato in questa Sicilia. Le polemiche, i dissidi, le contraddizioni che c’erano prima di questo tragico evento e che, immancabilmente, si sono ripetute anche dopo, ci fanno pensare troppo spesso che non ce la faremo, che lo Stato in Sicilia è contro lo Stato e che non puoi fidarti di nessuno. Qui il tuo compito personale, ma sai bene che non abbiamo molti altri interlocutori: sii la nostra fiducia nello Statoâ€.

Missione doppiamente compiuta, Paolo. Se riuscito con la tua vita a restituire nuova vita a parole come Stato e Giustizia, prima morte perché private di senso. E sei riuscito con la tua morte a farci capire che una vita senza la forza dell’amore è una vita senza senso; che in una società del disamore nella quale dove ciò che conta è solo la forza del denaro ed il potere fine a se stesso, non ha senso parlare di Stato e di Giustizia e di legalità.

E dunque per tanti di noi è stato un privilegio conoscerti personalmente e apprendere da te questa straordinaria lezione che ancora oggi nutre la nostra vita e ci ha dato la forza necessaria per ricominciare quando dopo la strage di via D’Amelio sembrava – come disse Antonino Caponnetto tra le lacrime – che tutto fosse ormai finito.

Ed invece Paolo, non era affatto finita e non è finita. Come quando nel corso di una furiosa battaglia viene colpito a morte chi porta in alto il vessillo della patria, così noi per essere degni di indossare la tua stessa toga, abbiamo raccolto il vessillo che tu avevi sino ad allora portato in alto, perché non finisse nella polvere e sotto le macerie.

Sotto le macerie dove invece erano disposti a seppellirlo quanti mentre il tuo sangue non si era ancora asciugato, trattavano segretamente la resa dello Stato al potere mafioso alle nostre spalle e a nostra insaputa.

Abbiamo portato avanti la vostra costruzione di senso e la vostra forza è divenuta la nostra forza sorretta dal sostegno di migliaia di cittadini che in quei giorni tremendi riempirono le piazze, le vie, circondarono il palazzo di giustizia facendoci sentire che non eravamo soli.

E così Paolo, ci siamo spinti laddove voi eravate stati fermati e dove sareste certamente arrivati se non avessero prima smobilitato il pool antimafia, poi costretto Giovanni ad andar via da Palermo ed infine non vi avessero lasciato morire.

Abbiamo portato sul banco degli imputati e abbiamo processato gli intoccabili: presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti della Regione siciliana, vertici dei Servizi segreti e della Polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d’oro, personaggi di vertice dell’economia e della finanza e molti altri.

Uno stuolo di sepolcri imbiancati, un popolo di colletti bianchi che hanno frequentato le nostre stesse scuole, che affollano i migliori salotti, che nelle chiese si battono il petto dopo avere partecipato a summit mafiosi. Un esercito di piccoli e grandi Don Rodrigo senza la cui protezione i Riina, i Provenzano sarebbero stati nessuno e mai avrebbero osato sfidare lo Stato, uccidere i suoi rappresentanti e questo paese si sarebbe liberato dalla mafia da tanto tempo.

Ma, caro Paolo, tutto questo nelle pubbliche cerimonie viene rimosso come se si trattasse di uno spinoso affare di famiglia di cui è sconveniente parlare in pubblico. Così ai ragazzi che non erano ancora nati nel 1992 quando voi morivate, viene raccontata la favola che la mafia è solo quella delle estorsioni e del traffico di stupefacenti.

Si racconta che la mafia è costituita solo da una piccola minoranza di criminali, da personaggi come Riina e Provenzano. Si racconta che personaggi simili, ex villici che non sanno neppure esprimersi in un italiano corretto, da soli hanno tenuto sotto scacco per un secolo e mezzo la nostra terra e che essi da soli osarono sfidare lo Stato nel 1992 e nel 1993 ideando e attuando la strategia stragista di quegli anni. Ora sappiamo che questa non è tutta la verità.

E sappiamo che fosti proprio tu il primo a capire che dietro i carnefici delle stragi, dietro i tuoi assassini si celavano forze oscure e potenti. E per questo motivo ti sentisti tradito, e per questo motivo ti si gelò il cuore e ti sembrò che lo Stato, quello Stato che nel 1985 ti aveva salvato dalla morte portandoti nel carcere dell’Asinara, questa volta non era in grado di proteggerti, o, peggio, forse non voleva proteggerti. 

Per questo dicesti a tua moglie Agnese: “Mi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere, la mafia mi ucciderà quando altri lo consentirannoâ€. Quelle forze hanno continuato ad agire Paolo anche dopo la tua morte per cancellare le tracce della loro presenza. E per tenerci nascosta la verità, è stato fatto di tutto e di più.

Pochi minuti dopo l’esplosione in Via D’Amelio mentre tutti erano colti dal panico e il fumo oscurava la vista, hanno fatto sparire la tua agenda rossa perché sapevano che leggendo quelle pagine avremmo capito quel che tu avevi capito.

Hanno fatto sparire tutti i documenti che si trovavano nel covo di Salvatore Riina dopo la sua cattura. Hanno preferito che finissero nella mani dei mafiosi piuttosto che in quelle dei magistrati. Hanno ingannato i magistrati che indagavano sulla strage con falsi collaboratori ai quali hanno fatto dire menzogne. Ma nonostante siano ancora forti e potenti, cominciano ad avere paura.

Le loro notti si fanno sempre più insonni e angosciose, perché hanno capito che non ci fermeremo, perché sanno che è solo questione di tempo. Sanno che riusciremo a scoprire la verità. Sanno che uno di questi giorni alla porta delle loro lussuosi palazzi busserà lo Stato, il vero Stato quello al quale tu e Giovanni avete dedicato le vostre vite e la vostra morte. 

E sanno che quel giorno saranno nudi dinanzi alla verità e alla giustizia che si erano illusi di calpestare e saranno chiamati a rendere conto della loro crudeltà e della loro viltà dinanzi alla Nazione.

Intervento di Roberto Scarpinato, procuratore generale della Corte di Appello di Caltanissetta, letto alla commemorazione per i 20 anni dell’assassinio di Paolo Borsellino, con il quale ha lavorato fianco a fianco nel pool antimafia.