Archivio per 15 settembre 2020

Già… non immaginate quanto caz… d’incontri ho dovuto svolgere con importanti personalità del nostro mondo istituzionale e quante comunicazioni ho inviato a tutta una serie di influenti personalità del mondo giudiziario o di quei rappresentanti di note associazioni di legalità, chiedendo loro d’intervenire per salvare una impresa sottoposta a sequestro prima (e a confisca dopo…), a seguito di un provvedimento interdittivo, senza però riuscire in alcun modo a salvare gli appalti in corso o quelli già aggiudicati, ma che ahimè non sono riusciti neppure a partire…       

Una lotta impari… da premettere che il sottoscritto seppur direttore tecnico dell’impresa, era di fatto un semplice dipendente, ma ciò – a differenza di molti altri colleghi e dipendenti – non mi ha minimamente limitato in quel mio ruolo morale di “combattere” per l’impresa per la quale operavo da circa dieci anni, ma alla fine, quanto compiuto (senza alcuna gratificazione…) non è servito a nulla!!!

Ora finalmente dopo anni… qualcuno ha compreso bene come quella norma andasse rivista, infatti – a patto di rispettare tutte le garanzie dovute di legge – si è compreso come le ragioni di continuità dell’impresa possono (il sottoscritto direbbe “debbono“) prevalere su qualsivoglia provvedimento giudiziario!!!

D’altronde… per come ho più volte scritto, cosa fa lo Stato quando interviene…???

Abbiamo visto la vicenda del giudice Saguto… ma quanto rappresentato in quella circostanza ha evidenziato sicuramente un caso estremo… ma posso assicurare che di poco si scosta da un sistema clientelare bel oleato che da vita ad un meccanismo per quella “casta” dove, come direbbero “Matranga e Munafò” – in molti “ci bagnano il biscottino”!!!

E gli imprenditori interdetti cosa fanno… ??? Semplice, aprono  a nome di un familiare o di una testa di legno un’analoga società, trasferiscono su di essa tutti i loro clienti e così proseguono con l’attività come nulla fosse… nel frattempo quella ove lo Stato era intervenuta chiude e tutti i suoi dipendenti vanno a casa… 

Ecco perché nel valutare i tratti di sospetto del mafioso non sempre emergono i reati commessi, ecco quindi che allora si valuta esclusivamente la “pericolosità sociale†ed è il motivo per cui il tribunale di Bologna ha accolto la proposta congiunta del questore, e del procuratore della Repubblica – la prima del genere in Italia – per un’impresa di costruzioni…

Niente sequestro né amministrazione giudiziaria, ma il “controllo giudiziario†per un anno, già… una misura soft, ma nel frattempo l’impresa non chiude e l’occupazione è stata tutelata…

La vicenda va raccontata fin dall’inizio e rivela come la dimensione mafiosa può avvenire all’improvviso…

Tutto nasce dalla richiesta di rinnovo dell’iscrizione nelle cosiddette “white list” della prefettura di Reggio Emilia avanzata dall’impresa. L’istruttoria dell’ufficio territoriale del Viminale accerta come la società sia riconducibile a una famiglia mafiosa più che famosa…

Quando la prefettura si accorge del quadro emerso passa il dossier per le verifiche più approfondite alla divisione anticrimine della questura di Reggio Emilia e così emerge come l’impresa di costruzione faccia ristrutturazioni di alta qualità immobiliare come d’altronde si può vedere dal loro sito web. 

La questura così affronta il tema della pericolosità sociale dell’impresa, evidenziando legami con esponenti di cosa nostra e di una cosca ’ndranghetista…

Alla fine quindi l’impresa è definita in “bonis†sottolinea il Tribunale sulle risultanze di prefettura, questura e procura, resta tuttavia un imperativo categorico: Arginare le infiltrazioni mafiose nelle attività economiche al fine però di salvaguardare la continuità dell’attività produttiva….

D’altronde l’impresa nel contraddittorio davanti al Tribunale sfodera carte e argomenti di rilievo…

Il 28 aprile scorso presenta un “piano d’azione per l’introduzione di misure di prevenzione contro le infiltrazioni mafiose nell’organizzazione aziendale†elaborato da un gruppo di lavoro composto da ricercatori della Crime & Tech srl, spin off dell’università Cattolica di Milano, e del Dems, dipartimento di scienze politiche e relazioni internazionali dell’università di Palermo”!!! 

Alla fine il Tribunale esclude il ricorso alle misure cosiddette ablatorie, sequestro e poi confisca e sceglie, tra quelle meno invasive “amministrazione giudiziaria” e “controllo giudiziario”, la seconda… certamente più soft…

Il Tribunale di Bologna ha rilevato come gli accertamenti della divisione anticrimine della questura non hanno fornito alcun elemento concreto e specifico per poter desumere il pericolo di infiltrazione mafiosa in seno alla società…

Resta tuttavia assodato, ricorda l’ufficio giudiziario, come l’impresa abbia tenuto relazioni riconducibili con soggetti pregiudicati in quanto membri o fiancheggiatori di clan, i quali operavano all’interno di parecchie imprese di subappalto e fornitura.

Con la misura del controllo giudiziario si dovrà promuovere il disinquinamento mafioso delle attività economiche salvaguardando al contempo la continuità produttiva e gestionale dell’impresa.

Viene nominato un giudice delegato e un amministratore giudiziario, titolato a svolgere “accessi ripetuti” presso la società e con il management almeno due volte al mese…

L’amministratore dovrà partecipare a tutte le assemblee ma anche intrattenere rapporti stabili con i dirigenti, prendere visione della documentazione contabile e controllare gli atti relativi alle transazioni finanziarie…

C’è ne voluto di tempo… ma finalmente si sta iniziando a comprendere che questa forma di “controllo†da parte del tribunale è l’unica che permette la prosecuzione dell’attività di un’impresa sospettata di rischio di infiltrazioni mafiosi è soprattutto rappresenta l’unica una strada che non mette a rischio i posti di lavoro così come sarebbe accaduto diversamente con un provvedimento più drastico come ad esempio sequestro. 

Speriamo che questo primo caso possa essere di apripista nei confronti di tutte quelle società a rischio a breve di chiusura, già… a causa dei provvedimenti interdittivi emessi e chissà se forse qualcuno possa – leggendo quest post– valutare diversamente quali azioni intraprendere, affinché l’impresa e i suoi dipendenti (ovviamente senza alcuna colpa…), possano continuare a garantirsi, quantomeno in un momento difficile qual’è quello di oggi, la propria occupazione… 

Già, non potete immaginare quanto caz… d’incontri ho dovuto svolgere con importanti funzionari del nostro mondo istituzionale e quante comunicazioni ho inviato a tutta una serie di influenti personalità del mondo giudiziario o di quelle note associazioni di legalità, chiedendo loro d’intervenire tempestivamente per salvare una impresa sottoposta a sequestro (e successivamente a confisca…) a seguito di provvedimento interdittivo emesso dal Tribunale, senza riuscire a salvaguardare gli appalti in corso e/o quelli aggiudicati, i quali ahimè non sono mai partiti…       

Cosa dire, è stata una lotta impari… da premettere che il sottoscritto – seppur direttore tecnico dell’impresa – era di fatto un semplice dipendente, ma ciò – a differenza di molti altri colleghi e dipendenti – non ha minimamente limitato quella intrinseca e personale caratteristica morale di voler “combattere” per l’imprese per la quali nel corso della mia vita ho operato, ma senza mai ricevere per quanto compiuto alcuna gratificazione…. ma si sa, questa è la vita!!! 

Ora però dopo anni… qualcuno ha compreso bene come quella norma andasse rivista, infatti – a patto di rispettare tutte le garanzie dovute di legge – si è compreso come le ragioni di continuità dell’impresa possono (il sottoscritto direbbe “debbono“) prevalere su qualsivoglia provvedimento giudiziario!!!

D’altronde… per come ho più volte scritto, cosa fa lo Stato quando interviene…???

Abbiamo visto la vicenda del giudice Saguto, ma quanto rappresentato in quella circostanza ha evidenziato sicuramente un caso estremo, ma posso assicurarvi che di poco si scosta dalla quotidiana realtà, un sistema bel oleato che permette di dar vita a un meccanismo clientelare per i soli appartenenti a quella “casta” dove, come direbbero “Matranga e Munafò” – sono in molti “a bagnarci il biscottino”!!!

E gli imprenditori interdetti cosa fanno… ??? 

Semplice, loro aggirano il provvedimento giudiziario… 
Aprono  a nome di un familiare o di una testa di legno un’analoga società, trasferiscono su di essa tutti i loro precedenti clienti e proseguono come nulla fosse; nel frattempo la società nella quale lo Stato era intervenuto chiude e tutti i dipendenti vanno a casa… 

Ecco perché diventa necessario – nel valutare i tratti del sospetto mafioso – i reati realmente commessi, affinché si possa procedere con una  valutazione attenta che verifichi la reale “pericolosità sociale  

Ed è il motivo per cui il tribunale di Bologna ha accolto la proposta congiunta del questore e del procuratore della Repubblica – la prima del genere in Italia – per un’impresa di costruzione…

SÃŒ… niente sequestro né amministrazione giudiziaria, ma un “controllo giudiziario†per un anno… una misura soft, ma nel frattempo l’impresa non chiude e l’occupazione è stata tutelata!!! 

La vicenda va raccontata fin dall’inizio e rivela come la dimensione mafiosa può avvenire all’improvviso…

Tutto nasce dalla richiesta di rinnovo dell’iscrizione nelle cosiddette “white list” della prefettura di Reggio Emilia avanzata dall’impresa. L’istruttoria dell’ufficio territoriale del Viminale accerta come la società sia riconducibile a una famiglia mafiosa più che famosa…

Quando la prefettura si accorge del quadro emerso passa il dossier per le verifiche più approfondite alla divisione anticrimine della questura di Reggio Emilia e così emerge come l’impresa di costruzione faccia ristrutturazioni di alta qualità immobiliare, circostanza d’altronde evidenziata nel loro sito web. 

La questura così affronta il tema della pericolosità sociale dell’impresa, evidenziando legami con esponenti di cosa nostra e di una cosca ’ndranghetista…

Alla fine quindi l’impresa è definita in “bonis†sottolinea il Tribunale sulle risultanze di prefettura, questura e procura, resta tuttavia un imperativo categorico: Arginare le infiltrazioni mafiose nelle attività economiche al fine però di salvaguardare la continuità dell’attività produttiva….

D’altronde l’impresa nel contraddittorio davanti al Tribunale sfodera carte e argomenti di rilievo…

Il 28 aprile scorso presenta un “piano d’azione per l’introduzione di misure di prevenzione contro le infiltrazioni mafiose nell’organizzazione aziendale†elaborato da un gruppo di lavoro composto da ricercatori della Crime & Tech srl, spin off dell’università Cattolica di Milano, e del Dems, dipartimento di scienze politiche e relazioni internazionali dell’università di Palermo”!!! 

Alla fine il Tribunale esclude il ricorso alle misure cosiddette ablatorie, sequestro e poi confisca e sceglie, tra quelle meno invasive, “amministrazione giudiziaria” e “controllo giudiziario”, la seconda… 

Il Tribunale di Bologna ha rilevato come gli accertamenti della divisione anticrimine della questura non hanno fornito alcun elemento concreto e specifico per poter desumere il pericolo di infiltrazione mafiosa in seno alla società…

Resta tuttavia assodato, ricorda l’ufficio giudiziario, come l’impresa abbia tenuto relazioni riconducibili con soggetti pregiudicati in quanto membri o fiancheggiatori di clan, i quali operavano all’interno di parecchie imprese di subappalto e fornitura.

Con la misura del controllo giudiziario si dovrà promuovere il disinquinamento mafioso delle attività economiche salvaguardando al contempo la continuità produttiva e gestionale dell’impresa.

Viene nominato un giudice delegato e un amministratore giudiziario, titolato a svolgere “accessi ripetuti” presso la società e con il management almeno due volte al mese…

L’amministratore dovrà partecipare a tutte le assemblee ma anche intrattenere rapporti stabili con i dirigenti, prendere visione della documentazione contabile e controllare gli atti relativi alle transazioni finanziarie…

C’è ne voluto di tempo… ma finalmente si sta iniziando a comprendere che questa forma di “controllo†da parte del tribunale è l’unica che permette la prosecuzione dell’attività di un’impresa sospettata di rischio di infiltrazione mafiosa e soprattutto rappresenta l’unica strada che non mette a rischio i posti di lavoro, così come sarebbe accaduto diversamente con un provvedimento più drastico come ad esempio il sequestro. 

Speriamo che questo primo caso possa essere di apripista nei confronti di tutte quelle società a rischio a breve di chiusura, già… a causa dei provvedimenti interdittivi emessi dai tribunale e chissà se forse qualcuno possa – leggendo quest post – valutare diversamente quali azioni intraprendere, affinché le imprese ed i loro dipendenti (senza alcuna colpa…) possano in un momento difficile qual è quello di oggi a causa dell’emergenza sanitaria, garantirsi quantomeno quella propria occupazione…Â